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Dalla nascita del Servizio Nazionale della Protezione Civile al Covid-19

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2 gennaio 2018. Il Decreto legislativo n. 1 ribadisce un modello di Servizio Nazionale policentrico e punta a garantire una operatività lineare, efficace e tempestiva.

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Il Codice della Protezione Civile, introdotto dal Decreto Legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018, nasce con l’obiettivo di semplificare e rendere più lineari le disposizioni di protezione civile, racchiudendole in un unico testo di facile lettura.

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La riforma ribadisce un modello di Servizio Nazionale policentrico e punta a garantire una operatività lineare, efficace e tempestiva.

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In materia di previsione, il Codice prevede innovazioni relative allo studio degli scenari di rischio. L’attività di previsione è propedeutica alle attività del sistema di allertamento e alla pianificazione di protezione civile. Relativamente alle attività di prevenzione si tiene conto dell’evoluzione della materia nel tempo esplicitando che l’ambito della prevenzione è sia strutturale sia non strutturale, anche in maniera integrata.

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Rispetto alla gestione delle emergenze nazionali, la norma introduce lo stato di mobilitazione, che consente al sistema territoriale di mobilitare le sue risorse e chiedere il concorso delle risorse nazionali, anche prima della dichiarazione dello stato di emergenza.

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Il Codice ribadisce inoltre il ruolo chiave della pianificazione e punta al superamento di una concezione “compilativa” di Piano in favore di una visione evoluta volta a rendere questo strumento pienamente operativo.

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La norma esplicita le tipologie di rischio di cui si occupa la protezione civile: sismico, vulcanico, da maremoto, idraulico, idrogeologico, da fenomeni meteorologicamente avversi, da deficit idrico, da incendi boschivi. Precisa inoltre i rischi su cui il Servizio Nazionale può essere chiamato a cooperare: chimico, nucleare, radiologico, tecnologico, industriale, da trasporti, ambientale, igienico-sanitario, da rientro incontrollato di satelliti e detriti spaziali.

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Il Codice della Protezione Civile, introdotto dal Decreto Legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018, nasce con l’obiettivo di semplificare e rendere più lineari le disposizioni di protezione civile, racchiudendole in un unico testo di facile lettura.

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La riforma ribadisce un modello di Servizio Nazionale policentrico e punta a garantire una operatività lineare, efficace e tempestiva.

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In materia di previsione, il Codice prevede innovazioni relative allo studio degli scenari di rischio. L’attività di previsione è propedeutica alle attività del sistema di allertamento e alla pianificazione di protezione civile. Relativamente alle attività di prevenzione si tiene conto dell’evoluzione della materia nel tempo esplicitando che l’ambito della prevenzione è sia strutturale sia non strutturale, anche in maniera integrata.

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Rispetto alla gestione delle emergenze nazionali, la norma introduce lo stato di mobilitazione, che consente al sistema territoriale di mobilitare le sue risorse e chiedere il concorso delle risorse nazionali, anche prima della dichiarazione dello stato di emergenza.

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Il Codice ribadisce inoltre il ruolo chiave della pianificazione e punta al superamento di una concezione “compilativa” di Piano in favore di una visione evoluta volta a rendere questo strumento pienamente operativo.

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La norma esplicita le tipologie di rischio di cui si occupa la protezione civile: sismico, vulcanico, da maremoto, idraulico, idrogeologico, da fenomeni meteorologicamente avversi, da deficit idrico, da incendi boschivi. Precisa inoltre i rischi su cui il Servizio Nazionale può essere chiamato a cooperare: chimico, nucleare, radiologico, tecnologico, industriale, da trasporti, ambientale, igienico-sanitario, da rientro incontrollato di satelliti e detriti spaziali.

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24 agosto 2016. Una scossa di magnitudo 6.0 colpisce Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. Migliaia le persone coinvolte nell'evento che ha gravi conseguenze in termini di vittime, feriti e danni sul territorio.

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Il 24 agosto 2016 alle 3.36 un terremoto di magnitudo 6.0 colpisce il Centro Italia, interessando Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. La scossa provoca 299 vittime, numerosi feriti e gravi danni sul territorio.

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Il Capo Dipartimento della Protezione Civile convoca immediatamente il Comitato operativo, che si riunisce in seduta permanente fino al 28 agosto, quando è istituita a Rieti la Direzione di Comando e Controllo per coordinare le attività di gestione dell’emergenza.

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Il 26 e il 30 ottobre nuovi terremoti interessano il Centro Italia, in particolare al confine tra Umbria e Marche. La scossa del 30 ottobre, di magnitudo 6.5, è la più forte in Italia degli ultimi trent’anni: il numero delle persone fuori casa e i danni crescono esponenzialmente, ma non si registrano vittime.

\n

Le attività sui territori colpiti spaziano dall’assistenza alla popolazione alla verifica dei danni su abitazioni, patrimonio artistico-culturale ed edifici pubblici, dalla ricerca e predisposizione di soluzioni abitative alternative al sostegno alle attività zootecniche,  dal monitoraggio per la realizzazione delle soluzioni abitative d’emergenza agli interventi per il ripristino e la messa in sicurezza della rete stradale.

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Nella seconda metà di gennaio 2017, mentre proseguono le attività legate all’emergenza terremoto, il sistema di protezione civile si trova a fronteggiare un’eccezionale ondata di maltempo su Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. Gli interventi sono numerosi e complessi: dal soccorso alle persone in frazioni isolate, al ripristino di viabilità, infrastrutture e servizi essenziali gravemente compromessi dalle nevicate.

\n

Il sistema è già duramente messo alla prova quando, il 18 gennaio, quattro scosse di magnitudo superiore a 5.0 colpiscono nuovamente le zone del centro Italia e in particolare Lazio e Abruzzo. A poche ore dalle scosse una slavina travolge e distrugge l’Hotel Rigopiano, alle pendici del Gran Sasso, in provincia di Pescara. Le operazioni di ricerca e soccorso durano ininterrottamente otto giorni e otto notti, e consentono di mettere in salvo undici persone. Gli eventi di gennaio causano 34 vittime, di cui 29 nella tragedia di Rigopiano.

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Foto: Attività di ricerca e soccorso ad Amatrice (Rieti) dopo il terremoto del 24 agosto 2016

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Le attività sui territori colpiti spaziano dall’assistenza alla popolazione alla verifica dei danni su abitazioni, patrimonio artistico-culturale ed edifici pubblici, dalla ricerca e predisposizione di soluzioni abitative alternative al sostegno alle attività zootecniche,  dal monitoraggio per la realizzazione delle soluzioni abitative d’emergenza agli interventi per il ripristino e la messa in sicurezza della rete stradale.

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Nella seconda metà di gennaio 2017, mentre proseguono le attività legate all’emergenza terremoto, il sistema di protezione civile si trova a fronteggiare un’eccezionale ondata di maltempo su Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. Gli interventi sono numerosi e complessi: dal soccorso alle persone in frazioni isolate, al ripristino di viabilità, infrastrutture e servizi essenziali gravemente compromessi dalle nevicate.

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Il sistema è già duramente messo alla prova quando, il 18 gennaio, quattro scosse di magnitudo superiore a 5.0 colpiscono nuovamente le zone del centro Italia e in particolare Lazio e Abruzzo. A poche ore dalle scosse una slavina travolge e distrugge l’Hotel Rigopiano, alle pendici del Gran Sasso, in provincia di Pescara. Le operazioni di ricerca e soccorso durano ininterrottamente otto giorni e otto notti, e consentono di mettere in salvo undici persone. Gli eventi di gennaio causano 34 vittime, di cui 29 nella tragedia di Rigopiano.

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Foto: Attività di ricerca e soccorso ad Amatrice (Rieti) dopo il terremoto del 24 agosto 2016

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12 luglio 2012. La Legge n. 100 riforma il Servizio Nazionale a vent’anni dalla sua nascita.

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A vent’anni dalla sua nascita il Servizio Nazionale della Protezione Civile viene riformato. Il Decreto-Legge n. 59 del 15 maggio 2012, convertito nella Legge n. 100 del 12 luglio 2012, modifica e integra la Legge n. 225 del 1992 istitutiva del Servizio. Le attività di protezione civile sono ricondotte al nucleo originario di competenze definito dalla Legge n. 225 e viene ribadito il ruolo di indirizzo e coordinamento del Dipartimento della Protezione Civile.

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La legge n. 100 del 2012 tocca temi chiave per tutto il sistema: dalla classificazione degli eventi calamitosi alle attività di protezione civile, dalla dichiarazione dello stato di emergenza al potere d’ordinanza. Accanto alle attività di previsione e prevenzione dei rischi e di soccorso delle popolazioni viene specificato il concetto di superamento dell’emergenza, che include ogni attività necessaria e indifferibile rivolta al “contrasto dell’emergenza” e alla “mitigazione del rischio” connessa agli eventi calamitosi.

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Le attività di prevenzione vengono esplicitate e si parla nel dettaglio di allertamento, pianificazione d’emergenza, formazione, diffusione della conoscenza di protezione civile, informazione alla popolazione, applicazione della normativa tecnica ed esercitazioni. Il sistema di allerta nazionale per il rischio meteo-idrogeologico e idraulico viene inquadrato in maniera organica, richiamando i vari provvedimenti che negli anni hanno disciplinato le attività di allertamento ai fini di protezione civile.

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La legge n. 100 del 2012 ribadisce inoltre il ruolo del Sindaco come autorità comunale di protezione civile, precisandone i compiti nelle attività di soccorso e assistenza alla popolazione.

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A vent’anni dalla sua nascita il Servizio Nazionale della Protezione Civile viene riformato. Il Decreto-Legge n. 59 del 15 maggio 2012, convertito nella Legge n. 100 del 12 luglio 2012, modifica e integra la Legge n. 225 del 1992 istitutiva del Servizio. Le attività di protezione civile sono ricondotte al nucleo originario di competenze definito dalla Legge n. 225 e viene ribadito il ruolo di indirizzo e coordinamento del Dipartimento della Protezione Civile.

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La legge n. 100 del 2012 tocca temi chiave per tutto il sistema: dalla classificazione degli eventi calamitosi alle attività di protezione civile, dalla dichiarazione dello stato di emergenza al potere d’ordinanza. Accanto alle attività di previsione e prevenzione dei rischi e di soccorso delle popolazioni viene specificato il concetto di superamento dell’emergenza, che include ogni attività necessaria e indifferibile rivolta al “contrasto dell’emergenza” e alla “mitigazione del rischio” connessa agli eventi calamitosi.

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Le attività di prevenzione vengono esplicitate e si parla nel dettaglio di allertamento, pianificazione d’emergenza, formazione, diffusione della conoscenza di protezione civile, informazione alla popolazione, applicazione della normativa tecnica ed esercitazioni. Il sistema di allerta nazionale per il rischio meteo-idrogeologico e idraulico viene inquadrato in maniera organica, richiamando i vari provvedimenti che negli anni hanno disciplinato le attività di allertamento ai fini di protezione civile.

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La legge n. 100 del 2012 ribadisce inoltre il ruolo del Sindaco come autorità comunale di protezione civile, precisandone i compiti nelle attività di soccorso e assistenza alla popolazione.

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20 e 29 maggio 2012. Le scosse colpiscono il Nord Italia compromettendo in modo particolare le attività produttive e i beni culturali.

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Alle 4.04 del 20 maggio 2012 un violento terremoto è avvertito nel Nord Italia. Il sisma, di magnitudo 5.9, interessa soprattutto l’Emilia: le Province di Modena e Ferrara e, in misura minore, Bologna e Mantova in Lombardia. L’epicentro è localizzato tra i Comuni di Finale Emilia e San Felice sul Panaro in provincia di Modena, e Sermide in provincia di Mantova. 

\n

Immediatamente dopo la scossa si riunisce l’unità di crisi del Dipartimento della Protezione Civile per organizzare, in coordinamento con le Regioni interessate, le attività di soccorso e assistenza alla popolazione. Alle 6.00 del 20 maggio si insedia il Comitato Operativo, che resta convocato in seduta permanente fino al 23 maggio.

\n

Il Presidente del Consiglio, come previsto dalla Legge n. 286 del 27 dicembre 2002, dichiara l’eccezionale rischio di compromissione degli interessi primari e il 22 maggio è deliberato lo stato di emergenza per i territori delle Province di Ferrara, Modena, Mantova e Bologna. Lo stato di emergenza, della durata di 60 giorni, è dichiarato in base al Decreto-Legge n. 59 del 30 aprile 2012, convertito poi nella Legge n. 100 del 12 luglio 2012. Il coordinamento degli interventi è affidato al Capo Dipartimento.

\n

Alle 9.00 del 29 maggio un nuovo terremoto di magnitudo 5.8 colpisce l’Emilia, la Lombardia e il Veneto, con epicentro tra Mirandola, Medolla e Cavezzo, in provincia di Modena, mettendo a dura prova la macchina dell’emergenza che a nove giorni dal primo evento era ormai a regime. 

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Immediata la riconvocazione da parte del Capo del Dipartimento del Comitato Operativo, che resta in seduta permanente fino al 2 giugno quando – per coordinare il soccorso e l’assistenza nelle Regioni colpite dai terremoti del 20 e del 29 maggio – è istituita a Bologna la Direzione di Comando e Controllo, di cui le strutture regionali dell’Emilia-Romagna sono parte integrante. Il 30 maggio, il Consiglio dei Ministri delibera l’estensione dello stato di emergenza alle Province di Reggio Emilia e Rovigo.

\n

Complessivamente perdono la vita 28 persone. I danni sui territori interessano in particolare gli stabilimenti industriali, le chiese e i beni storico-culturali, mentre risultano in buona parte integri gli edifici ad uso abitativo. Per questo motivo, nella gestione emergenziale un’attenzione particolare è rivolta alla continuità economica e produttiva delle aree colpite.

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Foto: Crolli nel centro di Concordia sulla Secchia (Modena) dopo la scossa del 20 maggio 2012

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Immediatamente dopo la scossa si riunisce l’unità di crisi del Dipartimento della Protezione Civile per organizzare, in coordinamento con le Regioni interessate, le attività di soccorso e assistenza alla popolazione. Alle 6.00 del 20 maggio si insedia il Comitato Operativo, che resta convocato in seduta permanente fino al 23 maggio.

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Il Presidente del Consiglio, come previsto dalla Legge n. 286 del 27 dicembre 2002, dichiara l’eccezionale rischio di compromissione degli interessi primari e il 22 maggio è deliberato lo stato di emergenza per i territori delle Province di Ferrara, Modena, Mantova e Bologna. Lo stato di emergenza, della durata di 60 giorni, è dichiarato in base al Decreto-Legge n. 59 del 30 aprile 2012, convertito poi nella Legge n. 100 del 12 luglio 2012. Il coordinamento degli interventi è affidato al Capo Dipartimento.

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Alle 9.00 del 29 maggio un nuovo terremoto di magnitudo 5.8 colpisce l’Emilia, la Lombardia e il Veneto, con epicentro tra Mirandola, Medolla e Cavezzo, in provincia di Modena, mettendo a dura prova la macchina dell’emergenza che a nove giorni dal primo evento era ormai a regime. 

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Immediata la riconvocazione da parte del Capo del Dipartimento del Comitato Operativo, che resta in seduta permanente fino al 2 giugno quando – per coordinare il soccorso e l’assistenza nelle Regioni colpite dai terremoti del 20 e del 29 maggio – è istituita a Bologna la Direzione di Comando e Controllo, di cui le strutture regionali dell’Emilia-Romagna sono parte integrante. Il 30 maggio, il Consiglio dei Ministri delibera l’estensione dello stato di emergenza alle Province di Reggio Emilia e Rovigo.

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Complessivamente perdono la vita 28 persone. I danni sui territori interessano in particolare gli stabilimenti industriali, le chiese e i beni storico-culturali, mentre risultano in buona parte integri gli edifici ad uso abitativo. Per questo motivo, nella gestione emergenziale un’attenzione particolare è rivolta alla continuità economica e produttiva delle aree colpite.

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Foto: Crolli nel centro di Concordia sulla Secchia (Modena) dopo la scossa del 20 maggio 2012

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6 aprile 2009. Una scossa di magnitudo 6.3 colpisce il territorio aquilano e abruzzese: è la prima volta, dopo la catastrofe sismica calabro-messinese del 1908, che una città è così duramente colpita da un terremoto.

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Alle 3.32 del 6 aprile 2009, dopo una sequenza sismica durata quattro mesi, una forte scossa di magnitudo 6.3 colpisce il territorio aquilano e abruzzese. Il terremoto provoca 309 vittime e oltre 1500 feriti, soprattutto nel capoluogo e nella frazione di Onna. L’Aquila, posta in area epicentrale, subisce gravissimi danni al patrimonio abitativo e artistico-culturale. È la prima volta, dopo la catastrofe sismica calabro-messinese del 1908, che una città è così duramente colpita da un terremoto.

\n

La sequenza sismica prosegue con moltissime repliche due delle quali, il 7 e il 9 aprile, superano nuovamente magnitudo 5 interessando un’area di oltre 30 chilometri lungo la valle del Fiume Aterno. Nell’arco di un mese dalla scossa principale, la rete sismometrica nazionale, gestita dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, registra e localizza circa 5mila scosse, di cui 150 superano magnitudo 3.

\n

L’estensione e la gravità dei danni sono in parte determinate dalla magnitudo del terremoto e dalla presenza in alcuni casi di condizioni geologiche che hanno amplificato il moto del terreno. Ma a influire sono prevalentemente le caratteristiche del patrimonio abitativo, costituito in gran parte da edifici storici vulnerabili.

\n

In seguito al terremoto del 6 aprile, uno degli obiettivi è garantire alla popolazione colpita una sistemazione adeguata e tempestiva in attesa di riparare o ricostruire la propria casa. Questo obiettivo ha previsto diverse soluzioni per gli abitanti del “cratere” sismico: gli alloggi del Progetto CASE, i MAP-Moduli Abitativi Provvisori, gli affitti agevolati, le sistemazioni negli alberghi e nelle strutture messe a disposizione dallo Stato e la possibilità di accedere al CAS-Contributo di Autonoma Sistemazione.

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Foto: Squadre impegnate in attività di ricerca e soccorso a Villa Sant'Angelo (L'Aquila) in seguito al terremoto del 6 aprile 2009 / Marcello Scopelliti

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Alle 3.32 del 6 aprile 2009, dopo una sequenza sismica durata quattro mesi, una forte scossa di magnitudo 6.3 colpisce il territorio aquilano e abruzzese. Il terremoto provoca 309 vittime e oltre 1500 feriti, soprattutto nel capoluogo e nella frazione di Onna. L’Aquila, posta in area epicentrale, subisce gravissimi danni al patrimonio abitativo e artistico-culturale. È la prima volta, dopo la catastrofe sismica calabro-messinese del 1908, che una città è così duramente colpita da un terremoto.

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La sequenza sismica prosegue con moltissime repliche due delle quali, il 7 e il 9 aprile, superano nuovamente magnitudo 5 interessando un’area di oltre 30 chilometri lungo la valle del Fiume Aterno. Nell’arco di un mese dalla scossa principale, la rete sismometrica nazionale, gestita dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, registra e localizza circa 5mila scosse, di cui 150 superano magnitudo 3.

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L’estensione e la gravità dei danni sono in parte determinate dalla magnitudo del terremoto e dalla presenza in alcuni casi di condizioni geologiche che hanno amplificato il moto del terreno. Ma a influire sono prevalentemente le caratteristiche del patrimonio abitativo, costituito in gran parte da edifici storici vulnerabili.

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In seguito al terremoto del 6 aprile, uno degli obiettivi è garantire alla popolazione colpita una sistemazione adeguata e tempestiva in attesa di riparare o ricostruire la propria casa. Questo obiettivo ha previsto diverse soluzioni per gli abitanti del “cratere” sismico: gli alloggi del Progetto CASE, i MAP-Moduli Abitativi Provvisori, gli affitti agevolati, le sistemazioni negli alberghi e nelle strutture messe a disposizione dallo Stato e la possibilità di accedere al CAS-Contributo di Autonoma Sistemazione.

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Foto: Squadre impegnate in attività di ricerca e soccorso a Villa Sant'Angelo (L'Aquila) in seguito al terremoto del 6 aprile 2009 / Marcello Scopelliti

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Le leggi del 2001 e del 2005 ripristinano il Dipartimento della Protezione Civile nell'ambito della Presidenza del Consiglio attribuendogli, tra le competenze, anche i grandi eventi e le emergenze all’estero.

\n"},"title":"I grandi eventi e le emergenze all'estero","field_titolo_esteso":"I grandi eventi e le emergenze all'estero","field_data_evento":"2001-11-09T00:12:02+01:00","relationships":{"field_link_evento_timeline":{"field_link":null,"relationships":{"field_link_interno":{"__typename":"node__page","title":"I grandi eventi e le emergenze all'estero","field_titolo_esteso":"I grandi eventi e le emergenze all'estero","body":{"processed":"

Con la Legge n. 401 del 2001 le competenze dello Stato in materia di protezione civile sono ricondotte al Presidente del Consiglio secondo le modalità già individuate dalla Legge n. 225 del 1992 e dal Decreto Legislativo n. 112 del 1998. L’Agenzia di Protezione Civile viene abolita e il Dipartimento della Protezione Civile ripristinato nell’ambito della Presidenza del Consiglio.

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Il Capo Dipartimento svolge una funzione di coordinamento operativo di tutti gli enti pubblici e privati. Inoltre – d’intesa con le Regioni e gli Enti Locali – promuove lo svolgimento delle esercitazioni, le attività di informazione alla popolazione e l’attività di formazione in materia di protezione civile. Viene inoltre istituito presso la Presidenza del Consiglio un Comitato paritetico Stato-Regioni-Enti Locali.

\n

La principale novità introdotta dal provvedimento riguarda i grandi eventi la cui dichiarazione, così come per lo stato di emergenza, comporta l’utilizzo del potere di ordinanza. Un ulteriore passaggio dal punto di vista normativo è rappresentato dalla Legge n. 152 del 2005, che estende il potere d’ordinanza anche agli eventi all’estero, sempre dopo dichiarazione dello stato di emergenza.

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Con la Legge n. 27 del 24 marzo 2012, la gestione dei grandi eventi non rientrerà più nelle competenze della protezione civile.

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Foto: Sri Lanka, scarico degli aiuti da un Canadair italiano dopo il maremoto del 26 dicembre 2004 nel Sud Est Asiatico / Luciano Del Castillo

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Con la Legge n. 401 del 2001 le competenze dello Stato in materia di protezione civile sono ricondotte al Presidente del Consiglio secondo le modalità già individuate dalla Legge n. 225 del 1992 e dal Decreto Legislativo n. 112 del 1998. L’Agenzia di Protezione Civile viene abolita e il Dipartimento della Protezione Civile ripristinato nell’ambito della Presidenza del Consiglio.

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Il Capo Dipartimento svolge una funzione di coordinamento operativo di tutti gli enti pubblici e privati. Inoltre – d’intesa con le Regioni e gli Enti Locali – promuove lo svolgimento delle esercitazioni, le attività di informazione alla popolazione e l’attività di formazione in materia di protezione civile. Viene inoltre istituito presso la Presidenza del Consiglio un Comitato paritetico Stato-Regioni-Enti Locali.

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La principale novità introdotta dal provvedimento riguarda i grandi eventi la cui dichiarazione, così come per lo stato di emergenza, comporta l’utilizzo del potere di ordinanza. Un ulteriore passaggio dal punto di vista normativo è rappresentato dalla Legge n. 152 del 2005, che estende il potere d’ordinanza anche agli eventi all’estero, sempre dopo dichiarazione dello stato di emergenza.

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Con la Legge n. 27 del 24 marzo 2012, la gestione dei grandi eventi non rientrerà più nelle competenze della protezione civile.

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Foto: Sri Lanka, scarico degli aiuti da un Canadair italiano dopo il maremoto del 26 dicembre 2004 nel Sud Est Asiatico / Luciano Del Castillo

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30 luglio 1999. Con il Decreto Legislativo n. 300 le funzioni del Dipartimento vengono trasferite all’Agenzia di Protezione Civile, sottoposta alla vigilanza del Ministero dell’Interno.

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L'assetto generale della protezione civile subisce ulteriori modifiche con il Decreto Legislativo n. 300 del 1999 che, riformando l'ordinamento della Presidenza del Consiglio e l'organizzazione del Governo, modifica profondamente gli assetti organizzativi della Pubblica Amministrazione.

\n

Il Decreto istituisce l'Agenzia di Protezione Civile, sottoposta alla vigilanza del Ministero dell’Interno. L'intero assetto del sistema di protezione civile viene quindi rivoluzionato: anziché il Presidente del Consiglio e il Dipartimento della Protezione Civile, al vertice del sistema vengono collocati il Ministro dell'Interno, con funzioni di indirizzo politico-amministrativo e di controllo, e l'Agenzia di Protezione Civile, con compiti tecnico-operativi e scientifici.

\n

All’Agenzia vengono trasferite le funzioni del Dipartimento della Protezione Civile e da essa dipende il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco. La creazione dell’Agenzia nasce anche dalla volontà di ricondurre l’attività della Presidenza del Consiglio alle tradizionali funzioni di impulso, indirizzo e coordinamento, eliminando le funzioni più prettamente operative.

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L'assetto generale della protezione civile subisce ulteriori modifiche con il Decreto Legislativo n. 300 del 1999 che, riformando l'ordinamento della Presidenza del Consiglio e l'organizzazione del Governo, modifica profondamente gli assetti organizzativi della Pubblica Amministrazione.

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Il Decreto istituisce l'Agenzia di Protezione Civile, sottoposta alla vigilanza del Ministero dell’Interno. L'intero assetto del sistema di protezione civile viene quindi rivoluzionato: anziché il Presidente del Consiglio e il Dipartimento della Protezione Civile, al vertice del sistema vengono collocati il Ministro dell'Interno, con funzioni di indirizzo politico-amministrativo e di controllo, e l'Agenzia di Protezione Civile, con compiti tecnico-operativi e scientifici.

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All’Agenzia vengono trasferite le funzioni del Dipartimento della Protezione Civile e da essa dipende il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco. La creazione dell’Agenzia nasce anche dalla volontà di ricondurre l’attività della Presidenza del Consiglio alle tradizionali funzioni di impulso, indirizzo e coordinamento, eliminando le funzioni più prettamente operative.

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5 maggio 1998. L’emergenza di Sarno determina un decisivo cambiamento nell’approccio al rischio idrogeologico, che porterà a un potenziamento delle attività di monitoraggio e sorveglianza.

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Il 5 maggio 1998 una pioggia incessante colpisce la provincia di Salerno. Dalle due del pomeriggio oltre 140 frane si abbattono sui comuni di Quindici, Bracigliano, Siano, San Felice a Cancello, Sarno e altri centri del salernitano e del napoletano, riversando oltre 2 milioni di metri cubi di materiale. A perdere la vita sono 160 persone, 137 delle quali solo a Sarno. Centinaia i feriti, migliaia le persone senza casa. In termini di vittime, Sarno è il più grave disastro idrogeologico che colpisce l’Italia negli ultimi 50 anni, dopo il Vajont nel 1963 e Stava nel 1985.

\n

Alle 17.30 del 5 maggio la prefettura di Salerno, cui spetta il coordinamento della protezione civile nella provincia, è concentrata su Bracigliano, Quindici e Siano dove la situazione sembra più grave e dove dalle prime colate i sindaci hanno già disposto l’evacuazione. A Sarno non scatta invece l’allarme per la popolazione e, intorno alle 18, ha inizio una delle tragedie più pesanti mai affrontate dal nostro Paese. Le forze dell’ordine fanno il possibile per aiutare la popolazione a evacuare le zone colpite. Intorno alle 20 la situazione precipita: una gigantesca onda travolge persone, case, automobili. Alle 23.45 Sarno è devastata da un’altra frana, che si abbatte sull’abitato alla velocità di 50-60 chilometri orari.

\n

I soccorsi arrivano da tutta Italia. La ricerca dei dispersi si svolge con il massimo coinvolgimento di uomini e mezzi e  a seguire le attività in prima persona è Franco Barberi , sottosegretario al Ministero dell’Interno con delega alla protezione civile. Per fronteggiare la situazione emergenziale sono costituiti diversi Centri operativi. Le attività di ricerca e soccorso si concludono l’8 maggio con il salvataggio di un ragazzo sepolto nel fango, l’ultimo dei sopravvissuti alla catastrofe.

\n

Lo stato di emergenza per Sarno viene dichiarato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 maggio 1998 e successivamente prorogato più volte. L’ordinanza n. 2787 del 1998 nomina commissario delegato il Presidente della Regione Campania, la cui struttura commissariale oltre ad attuare il piano degli interventi strutturali predispone nei comuni coinvolti un “Piano di emergenza interprovinciale-rischio colate di fango” attivato da un sistema di monitoraggio idro-pluviometrico che in fasi successive – presidio territoriale, allerta, preallarme e allarme – attiva le risorse di protezione civile.

\n

L’evento di Sarno, dal punto di vista del monitoraggio e della sorveglianza degli eventi idrogeologici, ha determinato un decisivo cambiamento di rotta nell’approccio al rischio, fino ad allora caratterizzato prevalentemente da interventi strutturali e da attività di soccorso e di assistenza.

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Il Decreto-Legge n. 180 del 1998, più noto come “Decreto Sarno”, successivamente convertito nella Legge n. 267 del 3 agosto 1998, ha determinato una decisiva accelerazione sia delle attività di perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico, sia del potenziamento delle reti di monitoraggio e sorveglianza.

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Prima di questo evento la rete di monitoraggio della Campania contava su pochi pluviometri in telemisura, nessuno dei quali collocato nell’area di Sarno. Oggi i pluviometri in telemisura sono numerosi e forniscono dati in tempo reale sia al Centro Funzionale Regionale sia a quello Centrale presso il Dipartimento della Protezione Civile. È quindi la Legge Sarno ad avviare la costruzione della rete dei Centri Funzionali, sostenendo il potenziamento della rete di monitoraggio idro-meteo-pluviometrica nazionale e la costruzione della rete radar meteorologica nazionale.

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Foto: Vigili del Fuoco al lavoro dopo la frana di Sarno del 5 maggio 1998 / Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco

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Il 5 maggio 1998 una pioggia incessante colpisce la provincia di Salerno. Dalle due del pomeriggio oltre 140 frane si abbattono sui comuni di Quindici, Bracigliano, Siano, San Felice a Cancello, Sarno e altri centri del salernitano e del napoletano, riversando oltre 2 milioni di metri cubi di materiale. A perdere la vita sono 160 persone, 137 delle quali solo a Sarno. Centinaia i feriti, migliaia le persone senza casa. In termini di vittime, Sarno è il più grave disastro idrogeologico che colpisce l’Italia negli ultimi 50 anni, dopo il Vajont nel 1963 e Stava nel 1985.

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Alle 17.30 del 5 maggio la prefettura di Salerno, cui spetta il coordinamento della protezione civile nella provincia, è concentrata su Bracigliano, Quindici e Siano dove la situazione sembra più grave e dove dalle prime colate i sindaci hanno già disposto l’evacuazione. A Sarno non scatta invece l’allarme per la popolazione e, intorno alle 18, ha inizio una delle tragedie più pesanti mai affrontate dal nostro Paese. Le forze dell’ordine fanno il possibile per aiutare la popolazione a evacuare le zone colpite. Intorno alle 20 la situazione precipita: una gigantesca onda travolge persone, case, automobili. Alle 23.45 Sarno è devastata da un’altra frana, che si abbatte sull’abitato alla velocità di 50-60 chilometri orari.

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I soccorsi arrivano da tutta Italia. La ricerca dei dispersi si svolge con il massimo coinvolgimento di uomini e mezzi e  a seguire le attività in prima persona è Franco Barberi , sottosegretario al Ministero dell’Interno con delega alla protezione civile. Per fronteggiare la situazione emergenziale sono costituiti diversi Centri operativi. Le attività di ricerca e soccorso si concludono l’8 maggio con il salvataggio di un ragazzo sepolto nel fango, l’ultimo dei sopravvissuti alla catastrofe.

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Lo stato di emergenza per Sarno viene dichiarato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 maggio 1998 e successivamente prorogato più volte. L’ordinanza n. 2787 del 1998 nomina commissario delegato il Presidente della Regione Campania, la cui struttura commissariale oltre ad attuare il piano degli interventi strutturali predispone nei comuni coinvolti un “Piano di emergenza interprovinciale-rischio colate di fango” attivato da un sistema di monitoraggio idro-pluviometrico che in fasi successive – presidio territoriale, allerta, preallarme e allarme – attiva le risorse di protezione civile.

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L’evento di Sarno, dal punto di vista del monitoraggio e della sorveglianza degli eventi idrogeologici, ha determinato un decisivo cambiamento di rotta nell’approccio al rischio, fino ad allora caratterizzato prevalentemente da interventi strutturali e da attività di soccorso e di assistenza.

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Il Decreto-Legge n. 180 del 1998, più noto come “Decreto Sarno”, successivamente convertito nella Legge n. 267 del 3 agosto 1998, ha determinato una decisiva accelerazione sia delle attività di perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico, sia del potenziamento delle reti di monitoraggio e sorveglianza.

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Prima di questo evento la rete di monitoraggio della Campania contava su pochi pluviometri in telemisura, nessuno dei quali collocato nell’area di Sarno. Oggi i pluviometri in telemisura sono numerosi e forniscono dati in tempo reale sia al Centro Funzionale Regionale sia a quello Centrale presso il Dipartimento della Protezione Civile. È quindi la Legge Sarno ad avviare la costruzione della rete dei Centri Funzionali, sostenendo il potenziamento della rete di monitoraggio idro-meteo-pluviometrica nazionale e la costruzione della rete radar meteorologica nazionale.

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Foto: Vigili del Fuoco al lavoro dopo la frana di Sarno del 5 maggio 1998 / Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco

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31 marzo 1998. Il Decreto Legislativo n. 112 ridetermina l'assetto della protezione civile, che viene considerata materia a competenza mista: alle Regioni e agli Enti locali vengono affidate tutte le funzioni ad esclusione dei \"compiti di rilievo nazionale del Sistema di Protezione Civile”.

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A partire dai primi anni Novanta la domanda regionalista condiziona e orienta il dibattito politico. In risposta a questa domanda, Governo e Parlamento concordano in un consistente trasferimento di competenze dal centro alla periferia, sulla base dei principi di “sussidiarietà” e “integrazione”, in modo da avvicinare la soluzione dei problemi ai cittadini e ai rappresentanti dei cittadini. Di conseguenza alcune importanti funzioni statali passano alle Regioni e agli Enti Locali e funzioni regionali passano agli Enti Locali.

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In questo contesto viene ridefinita anche la materia della protezione civile. Il Decreto Legislativo n. 112 del 1998 – attuativo della Legge Bassanini – ridetermina l'assetto della protezione civile, da un lato trasferendo importanti competenze alle autonomie locali, anche di tipo operativo, e dall'altro introducendo una profonda ristrutturazione anche per le residue competenze statali. Il quadro normativo di riferimento resta sempre la Legge n. 225 del 1992.

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La protezione civile viene considerata materia a competenza mista: alle Regioni e agli Enti Locali vengono affidate tutte le funzioni ad esclusione dei \"compiti di rilievo nazionale del sistema di protezione civile”.

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A partire dai primi anni Novanta la domanda regionalista condiziona e orienta il dibattito politico. In risposta a questa domanda, Governo e Parlamento concordano in un consistente trasferimento di competenze dal centro alla periferia, sulla base dei principi di “sussidiarietà” e “integrazione”, in modo da avvicinare la soluzione dei problemi ai cittadini e ai rappresentanti dei cittadini. Di conseguenza alcune importanti funzioni statali passano alle Regioni e agli Enti Locali e funzioni regionali passano agli Enti Locali.

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In questo contesto viene ridefinita anche la materia della protezione civile. Il Decreto Legislativo n. 112 del 1998 – attuativo della Legge Bassanini – ridetermina l'assetto della protezione civile, da un lato trasferendo importanti competenze alle autonomie locali, anche di tipo operativo, e dall'altro introducendo una profonda ristrutturazione anche per le residue competenze statali. Il quadro normativo di riferimento resta sempre la Legge n. 225 del 1992.

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La protezione civile viene considerata materia a competenza mista: alle Regioni e agli Enti Locali vengono affidate tutte le funzioni ad esclusione dei \"compiti di rilievo nazionale del sistema di protezione civile”.

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26 settembre 1997. Una scossa di magnitudo 5.7 colpisce l’Italia centrale. È l’inizio di una sequenza sismica che interessa per mesi l’Umbria e le Marche, con notevoli danni e perdite al patrimonio storico-artistico.

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Il 26 settembre 1997 alle 2.33 una scossa di magnitudo 5.7 colpisce l’Italia centrale, lungo l’asse della dorsale montuosa degli Appennini, tra Umbria e Marche. Alle 11.40 una nuova scossa di magnitudo 6.0 aggrava lo scenario. Ha così inizio una sequenza sismica che interessa per mesi Umbria e Marche, con migliaia di scosse localizzate in una fascia compresa a nord tra Gualdo Tadino e Nocera Umbra e a sud tra Sellano e Norcia. Alcune di queste recano ulteriori danni a questi territori così ricchi di arte e storia.

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Complessivamente, le vittime sono 11, i Comuni interessati dall’emergenza 48. Danni significativi si registrano in Umbria ad Assisi, Gubbio, Foligno, Norcia, Valfabbrica, Gualdo Tadino, Nocera Umbra e Sellano e, nelle Marche, a Serravalle del Chienti, Camerino, Fiordimonte e Castelsantangelo sul Nera.

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I danni e le perdite al patrimonio storico-artistico delle regioni coinvolte sono enormi: dalla cima del campanile della cattedrale di Foligno alla storica torre di Nocera Umbra, dai musei locali ai teatri storici. Nell’immaginario collettivo questa emergenza è legata al crollo della volta affrescata della Basilica superiore del complesso francescano di Assisi, meta di turisti e pellegrini da ogni parte del mondo.

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Foto: Squadre di Vigili del Fuoco impegnate nella messa in sicurezza di beni culturali / Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco

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Il 26 settembre 1997 alle 2.33 una scossa di magnitudo 5.7 colpisce l’Italia centrale, lungo l’asse della dorsale montuosa degli Appennini, tra Umbria e Marche. Alle 11.40 una nuova scossa di magnitudo 6.0 aggrava lo scenario. Ha così inizio una sequenza sismica che interessa per mesi Umbria e Marche, con migliaia di scosse localizzate in una fascia compresa a nord tra Gualdo Tadino e Nocera Umbra e a sud tra Sellano e Norcia. Alcune di queste recano ulteriori danni a questi territori così ricchi di arte e storia.

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Complessivamente, le vittime sono 11, i Comuni interessati dall’emergenza 48. Danni significativi si registrano in Umbria ad Assisi, Gubbio, Foligno, Norcia, Valfabbrica, Gualdo Tadino, Nocera Umbra e Sellano e, nelle Marche, a Serravalle del Chienti, Camerino, Fiordimonte e Castelsantangelo sul Nera.
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Foto: Squadre di Vigili del Fuoco impegnate nella messa in sicurezza di beni culturali / Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco

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24 febbraio 1992. Con la legge n. 225 nasce il Servizio Nazionale della Protezione Civile che ha il compito di “tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e altri eventi calamitosi”.

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Il 24 febbraio 1992, con l’approvazione della Legge n. 225, l'architettura della protezione civile viene codificata con la nascita del Servizio Nazionale che ha il compito di “tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e altri eventi calamitosi”.

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La protezione civile diventa quindi un sistema coordinato di competenze al quale concorrono in modo sussidiario le amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri Enti Locali, gli Enti Pubblici, la Comunità scientifica, il volontariato, gli ordini e i collegi professionali e ogni altra istituzione sul territorio nazionale. La Legge n. 225 rappresenta un momento di passaggio tra la fase accentrata e decentrata: le competenze operative rimangono in capo all’amministrazione centrale e periferica dello Stato, ma per la prima volta aumenta notevolmente il peso delle Regioni, delle Province e dei Comuni, soprattutto per quanto riguarda la previsione e la prevenzione. 

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Il volontariato è inserito tra le Componenti e le Strutture operative del Servizio Nazionale quale strumento per assicurare ampia partecipazione di cittadini e organizzazioni di volontariato di protezione civile alle attività di previsione, prevenzione e soccorso. Il Dipartimento della Protezione Civile è confermato nel suo ruolo di coordinamento e indirizzo che esercita anche attraverso fondamentali “spazi di confronto e condivisione delle regole”: gli organi collegiali.

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Foto: Immagine di un Comitato Operativo della Protezione Civile degli anni Novanta

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Il 24 febbraio 1992, con l’approvazione della Legge n. 225, l'architettura della protezione civile viene codificata con la nascita del Servizio Nazionale che ha il compito di “tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e altri eventi calamitosi”.

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La protezione civile diventa quindi un sistema coordinato di competenze al quale concorrono in modo sussidiario le amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri Enti Locali, gli Enti Pubblici, la Comunità scientifica, il volontariato, gli ordini e i collegi professionali e ogni altra istituzione sul territorio nazionale. La Legge n. 225 rappresenta un momento di passaggio tra la fase accentrata e decentrata: le competenze operative rimangono in capo all’amministrazione centrale e periferica dello Stato, ma per la prima volta aumenta notevolmente il peso delle Regioni, delle Province e dei Comuni, soprattutto per quanto riguarda la previsione e la prevenzione. 

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Il volontariato è inserito tra le Componenti e le Strutture operative del Servizio Nazionale quale strumento per assicurare ampia partecipazione di cittadini e organizzazioni di volontariato di protezione civile alle attività di previsione, prevenzione e soccorso. Il Dipartimento della Protezione Civile è confermato nel suo ruolo di coordinamento e indirizzo che esercita anche attraverso fondamentali “spazi di confronto e condivisione delle regole”: gli organi collegiali.

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Foto: Immagine di un Comitato Operativo della Protezione Civile degli anni Novanta

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31 ottobre 2002. Una scossa di magnitudo 5.7 colpisce il Molise e parte della Puglia. La terra trema alle 11.32 causando 30 vittime, circa 100 feriti e quasi 14mila senzatetto. Il comune più colpito è San Giuliano di Puglia, in provincia di Campobasso, dove la scossa provoca il crollo del solaio della scuola materna, elementare e media “Francesco Jovine”.

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Il 31 ottobre 2002 una scossa di magnitudo 5.7 fa tremare il Molise e parte della Puglia. Il comune più colpito è San Giuliano di Puglia, in provincia di Campobasso, dove la scossa provoca il crollo del solaio della scuola “Francesco Jovine”. Sotto le macerie dell’edificio restano intrappolati 57 bambini, otto insegnanti e due bidelle.

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Il viavai di mezzi e soccorritori è ininterrotto. All’inizio si scava a mani nude, senza l’aiuto di ruspe, e si va avanti per trenta lunghissime ore. All’alba di venerdì 1° novembre il lavoro dei soccorritori restituisce alla vita Angelo, ultimo dei superstiti, ma il bilancio delle perdite è drammatico: 27 bambini e una maestra restano uccisi. Tutta la prima elementare – la classe dei nati nel 1996 di San Giuliano – non esiste più.

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Il 3 novembre 2002, alla presenza del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi si svolgono i funerali delle vittime. Durante la cerimonia la madre di uno dei bimbi uccisi dal crollo lancia un appello perché le scuole italiane siano più sicure.

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Dopo la tragedia di San Giuliano – che provoca complessivamente 30 vittime, circa 100 feriti e quasi 14mila senzatetto – l’azione dello Stato si concentra su una nuova classificazione sismica. Il territorio nazionale viene suddiviso in quattro zone a pericolosità decrescente, eliminando di fatto quelle non classificate. Nessuna area del nostro Paese può essere considerata immune dal rischio sismico.

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Foto: Attività di ricerca e soccorso a San Giuliano di Puglia in seguito al terremoto del 31 ottobre 2002 / Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco

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Il 31 ottobre 2002 una scossa di magnitudo 5.7 fa tremare il Molise e parte della Puglia. Il comune più colpito è San Giuliano di Puglia, in provincia di Campobasso, dove la scossa provoca il crollo del solaio della scuola “Francesco Jovine”. Sotto le macerie dell’edificio restano intrappolati 57 bambini, otto insegnanti e due bidelle.

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Il viavai di mezzi e soccorritori è ininterrotto. All’inizio si scava a mani nude, senza l’aiuto di ruspe, e si va avanti per trenta lunghissime ore. All’alba di venerdì 1° novembre il lavoro dei soccorritori restituisce alla vita Angelo, ultimo dei superstiti, ma il bilancio delle perdite è drammatico: 27 bambini e una maestra restano uccisi. Tutta la prima elementare – la classe dei nati nel 1996 di San Giuliano – non esiste più.

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Il 3 novembre 2002, alla presenza del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi si svolgono i funerali delle vittime. Durante la cerimonia la madre di uno dei bimbi uccisi dal crollo lancia un appello perché le scuole italiane siano più sicure.

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Dopo la tragedia di San Giuliano – che provoca complessivamente 30 vittime, circa 100 feriti e quasi 14mila senzatetto – l’azione dello Stato si concentra su una nuova classificazione sismica. Il territorio nazionale viene suddiviso in quattro zone a pericolosità decrescente, eliminando di fatto quelle non classificate. Nessuna area del nostro Paese può essere considerata immune dal rischio sismico.

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Foto: Attività di ricerca e soccorso a San Giuliano di Puglia in seguito al terremoto del 31 ottobre 2002 / Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco

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28 dicembre 2002. Il vulcano Stromboli inizia un’attività effusiva che interessa la Sciara del Fuoco e che, due giorni dopo, genera una frana di circa 16 milioni di metri cubi.

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Il 28 dicembre 2002 il vulcano Stromboli inizia un’attività effusiva che interessa la Sciara del Fuoco e che, due giorni dopo, genera una frana di circa 16 milioni di metri cubi. Dalla frana si origina un maremoto che colpisce le coste di Stromboli, delle altre isole Eolie, della Calabria e della Sicilia. Il Servizio Nazionale si attiva immediatamente per mettere in sicurezza la popolazione.

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Il Dipartimento predispone l’invio di esperti e tecnici sull’isola e istituisce sull’isola il Centro Operativo Avanzato, organizzato e attrezzato per dare supporto alle funzioni scientifiche e operative, e capace di essere il nucleo delle attività di monitoraggio e di valutazione legate all’emergenza.

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Nell’ambito di questa emergenza verrà consolidato e sviluppato un elaborato sistema di monitoraggio dello stato di attività del vulcano in grado di rilevare i parametri fisico-chimici indicativi dello stato del sistema vulcanico e le loro eventuali variazioni.

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Foto: Attività stromboliana a fine dicembre 2002

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Il 28 dicembre 2002 il vulcano Stromboli inizia un’attività effusiva che interessa la Sciara del Fuoco e che, due giorni dopo, genera una frana di circa 16 milioni di metri cubi. Dalla frana si origina un maremoto che colpisce le coste di Stromboli, delle altre isole Eolie, della Calabria e della Sicilia. Il Servizio Nazionale si attiva immediatamente per mettere in sicurezza la popolazione.

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Il Dipartimento predispone l’invio di esperti e tecnici sull’isola e istituisce sull’isola il Centro Operativo Avanzato, organizzato e attrezzato per dare supporto alle funzioni scientifiche e operative, e capace di essere il nucleo delle attività di monitoraggio e di valutazione legate all’emergenza.

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Nell’ambito di questa emergenza verrà consolidato e sviluppato un elaborato sistema di monitoraggio dello stato di attività del vulcano in grado di rilevare i parametri fisico-chimici indicativi dello stato del sistema vulcanico e le loro eventuali variazioni.

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Foto: Attività stromboliana a fine dicembre 2002

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31 gennaio 2020. Viene dichiarato lo stato di emergenza per fronteggiare il rischio sanitario collegato alla diffusione del Covid-19.

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Il 31 gennaio 2020, il Consiglio dei Ministri dichiara lo stato di emergenza, per la durata di sei mesi, in conseguenza del rischio sanitario connesso all'infezione da Coronavirus. Al Capo Dipartimento della Protezione Civile è affidato il coordinamento dei primi interventi necessari a fronteggiare l'emergenza sul territorio nazionale. Tra questi, il potenziamento dell’assistenza alla popolazione, anche attraverso il supporto del volontariato di protezione civile, l’acquisizione di dispositivi di protezione individuale e attrezzature medicali, il reclutamento di task force di medici, infermieri e operatori sociosanitari.

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Lo stato di emergenza è successivamente prorogato con i seguenti provvedimenti: decreto-legge del 29 luglio 2020 (fino al 15 ottobre 2020); delibera del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 ottobre 2020 (fino al 31 gennaio 2021); decreto-legge del 14 gennaio 2021 (fino al 30 aprile 2021); decreto-legge del 22 aprile 2021 (fino al 31 luglio 2021); decreto-legge del 23 luglio 2021 n. 105 (fino al 31 gennaio 2021).

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Con il Consiglio dei Ministri del 15 dicembre 2021 la proroga è fissata al 31 marzo 2022 e con Decreto Legge n. 24 del 24 marzo 2022 si dispone il termine dello stato di emergenza.

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Il 31 gennaio 2020, il Consiglio dei Ministri dichiara lo stato di emergenza, per la durata di sei mesi, in conseguenza del rischio sanitario connesso all'infezione da Coronavirus. Al Capo Dipartimento della Protezione Civile è affidato il coordinamento dei primi interventi necessari a fronteggiare l'emergenza sul territorio nazionale. Tra questi, il potenziamento dell’assistenza alla popolazione, anche attraverso il supporto del volontariato di protezione civile, l’acquisizione di dispositivi di protezione individuale e attrezzature medicali, il reclutamento di task force di medici, infermieri e operatori sociosanitari.

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Lo stato di emergenza è successivamente prorogato con i seguenti provvedimenti: decreto-legge del 29 luglio 2020 (fino al 15 ottobre 2020); delibera del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 ottobre 2020 (fino al 31 gennaio 2021); decreto-legge del 14 gennaio 2021 (fino al 30 aprile 2021); decreto-legge del 22 aprile 2021 (fino al 31 luglio 2021); decreto-legge del 23 luglio 2021 n. 105 (fino al 31 gennaio 2021).

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Con il Consiglio dei Ministri del 15 dicembre 2021 la proroga è fissata al 31 marzo 2022 e con Decreto Legge n. 24 del 24 marzo 2022 si dispone il termine dello stato di emergenza.
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13 gennaio 2012. La nave da crociera Costa Concordia, con oltre 4mila persone a bordo, comincia a imbarcare acqua a causa di un urto contro lo scoglio delle Scole e si inclina in prossimità dell'isola del Giglio

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La sera del 13 gennaio 2012, la nave da crociera Costa Concordia, con oltre 4 mila persone a bordo tra passeggeri ed equipaggio, comincia a imbarcare acqua a causa di un urto contro lo scoglio delle Scole e si inclina in prossimità dell'isola del Giglio: si tratta del più grande naufragio dell’era moderna, a causa del quale 32 persone perdono la vita. Subito dopo l’ordine di evacuazione, la Capitaneria di Porto-Guardia Costiera di Livorno assume il coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso in mare in cui sono impegnati i reparti specializzati di Capitaneria di Porto, Vigili del Fuoco e Forze di Polizia. Nelle stesse ore il Sistema di protezione civile si attiva per pianificare l’assistenza ai passeggeri, evacuati a Isola del Giglio e trasferiti poi a Porto S. Stefano.

\n

Il 20 gennaio 2012, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, è dichiarato lo stato di emergenza per il naufragio e il Consiglio dei Ministri nomina il Capo Dipartimento della Protezione Civile Commissario delegato. Lo scenario emergenziale raro, ampio e complesso richiede l’attivazione di competenze molto diverse tra loro e una profonda interazione tra soggetti pubblici e privati. A supporto del Commissario sono istituiti un Comitato con funzioni consultive e un Comitato tecnico-scientifico. Grande attenzione viene posta, sin dalle primissime fasi, ai possibili rischi ambientali legati alla fuoriuscita di carburante dalla nave.

\n

Il progetto di rimozione del relitto è un’operazione tecnico-ingegneristica unica nel suo genere, che vede impegnati per oltre due anni 500 tecnici e 30 mezzi navali, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Il progetto si conclude il 27 luglio 2014 con l'arrivo della nave nel porto di Genova Prà-Voltri per le successive operazioni di smantellamento.

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La sera del 13 gennaio 2012, la nave da crociera Costa Concordia, con oltre 4 mila persone a bordo tra passeggeri ed equipaggio, comincia a imbarcare acqua a causa di un urto contro lo scoglio delle Scole e si inclina in prossimità dell'isola del Giglio: si tratta del più grande naufragio dell’era moderna, a causa del quale 32 persone perdono la vita. Subito dopo l’ordine di evacuazione, la Capitaneria di Porto-Guardia Costiera di Livorno assume il coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso in mare in cui sono impegnati i reparti specializzati di Capitaneria di Porto, Vigili del Fuoco e Forze di Polizia. Nelle stesse ore il Sistema di protezione civile si attiva per pianificare l’assistenza ai passeggeri, evacuati a Isola del Giglio e trasferiti poi a Porto S. Stefano.

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Il 20 gennaio 2012, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, è dichiarato lo stato di emergenza per il naufragio e il Consiglio dei Ministri nomina il Capo Dipartimento della Protezione Civile Commissario delegato. Lo scenario emergenziale raro, ampio e complesso richiede l’attivazione di competenze molto diverse tra loro e una profonda interazione tra soggetti pubblici e privati. A supporto del Commissario sono istituiti un Comitato con funzioni consultive e un Comitato tecnico-scientifico. Grande attenzione viene posta, sin dalle primissime fasi, ai possibili rischi ambientali legati alla fuoriuscita di carburante dalla nave.
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\r\nIl progetto di rimozione del relitto è un’operazione tecnico-ingegneristica unica nel suo genere, che vede impegnati per oltre due anni 500 tecnici e 30 mezzi navali, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Il progetto si conclude il 27 luglio 2014 con l'arrivo della nave nel porto di Genova Prà-Voltri per le successive operazioni di smantellamento.

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4 novembre 2011. In prossimità del Monte di Portofino, si innesca un sistema temporalesco che a fine mattinata raggiunge Genova. Le precipitazioni si concentrano soprattutto in Valle Sturla, Val Bisagno e nel versante est della Val Polcevera.

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Nella notte del 4 novembre 2011, in prossimità del Monte di Portofino, si innesca un sistema temporalesco che a fine mattinata raggiunge Genova. Le precipitazioni si concentrano soprattutto in Valle Sturla, Val Bisagno e nel versante est della Val Polcevera. In poco tempo i corsi d’acqua di Genova – Sturla, Bisagno e il suo affluente Fereggiano – esondano. I lunghi tratti tombati dei torrenti genovesi non sempre riescono a contenere le piene. È il caso del rio Fereggiano, le cui acque, in parte ostacolate nel deflusso dalla contemporanea piena del Bisagno, fuoriescono con violenza all’imbocco della tombatura, travolgendo tutto quello che incontrano e causando la morte di 6 persone. Allagamenti e frane interessano tutto il territorio regionale, con numerose interruzioni della viabilità e ingenti danni materiali.

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Foto: Squadre in azione a Genova in seguito all'alluvione del 4 novembre 2011 / Comune di Genova

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Nella notte del 4 novembre 2011, in prossimità del Monte di Portofino, si innesca un sistema temporalesco che a fine mattinata raggiunge Genova. Le precipitazioni si concentrano soprattutto in Valle Sturla, Val Bisagno e nel versante est della Val Polcevera. In poco tempo i corsi d’acqua di Genova – Sturla, Bisagno e il suo affluente Fereggiano – esondano. I lunghi tratti tombati dei torrenti genovesi non sempre riescono a contenere le piene. È il caso del rio Fereggiano, le cui acque, in parte ostacolate nel deflusso dalla contemporanea piena del Bisagno, fuoriescono con violenza all’imbocco della tombatura, travolgendo tutto quello che incontrano e causando la morte di 6 persone. Allagamenti e frane interessano tutto il territorio regionale, con numerose interruzioni della viabilità e ingenti danni materiali.

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Foto: Squadre in azione a Genova in seguito all'alluvione del 4 novembre 2011 / Comune di Genova

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Nella notte tra il 5 e il 6 novembre 1994 una terribile alluvione colpisce le province di Cuneo, Asti e Alessandria, sul Tanaro, e la zona di Vercelli sul Po. 68 persone perdono la vita, centinaia restano ferite, numerosi i centri abitati isolati e danneggiati.

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Nella notte tra il 5 e il 6 novembre 1994 una terribile alluvione colpisce le province di Cuneo, Asti e Alessandria, sul Tanaro, e la zona di Vercelli sul Po. Le vaste esondazioni e le oltre un migliaio di frane causano 68 vittime, decine di feriti e circa 5500 persone evacuate.

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Il quadro dei processi geo-idrologici che si verificano in questo evento lo caratterizzano come uno dei più gravi mai accaduti in Piemonte. I danni interessano quasi cinquecento comuni e numerose infrastrutture, soprattutto nella valle del Tanaro, ad Alba, Asti e Alessandria. Nel Piemonte meridionale alcuni centri abitati rimangono isolati per giorni.

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Si tratta della prima grande emergenza che coinvolge il Servizio Nazionale, istituito due anni prima, e che pone al centro la necessità di potenziare le attività di previsione e prevenzione dei rischi. Dieci anni dopo il sistema di protezione civile potrà contare sulla rete dei Centri Funzionali, con compiti di previsione, monitoraggio e sorveglianza dei fenomeni meteorologici e valutazione degli effetti sul territorio.

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Foto: Squadre all'opera in seguito all'alluvione in Piemonte del novembre 1994 / Arma dei Carabinieri

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Nella notte tra il 5 e il 6 novembre 1994 una terribile alluvione colpisce le province di Cuneo, Asti e Alessandria, sul Tanaro, e la zona di Vercelli sul Po. Le vaste esondazioni e le oltre un migliaio di frane causano 68 vittime, decine di feriti e circa 5500 persone evacuate.

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Il quadro dei processi geo-idrologici che si verificano in questo evento lo caratterizzano come uno dei più gravi mai accaduti in Piemonte. I danni interessano quasi cinquecento comuni e numerose infrastrutture, soprattutto nella valle del Tanaro, ad Alba, Asti e Alessandria. Nel Piemonte meridionale alcuni centri abitati rimangono isolati per giorni.

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Si tratta della prima grande emergenza che coinvolge il Servizio Nazionale, istituito due anni prima, e che pone al centro la necessità di potenziare le attività di previsione e prevenzione dei rischi. Dieci anni dopo il sistema di protezione civile potrà contare sulla rete dei Centri Funzionali, con compiti di previsione, monitoraggio e sorveglianza dei fenomeni meteorologici e valutazione degli effetti sul territorio.

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Foto: Squadre all'opera in seguito all'alluvione in Piemonte del novembre 1994 / Arma dei Carabinieri

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