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Dalla nascita del Servizio Nazionale della Protezione Civile al Covid-19
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\nLa riforma ribadisce un modello di Servizio Nazionale policentrico e punta a garantire una operatività lineare, efficace e tempestiva.
\nIn materia di previsione, il Codice prevede innovazioni relative allo studio degli scenari di rischio. L’attività di previsione è propedeutica alle attività del sistema di allertamento e alla pianificazione di protezione civile. Relativamente alle attività di prevenzione si tiene conto dell’evoluzione della materia nel tempo esplicitando che l’ambito della prevenzione è sia strutturale sia non strutturale, anche in maniera integrata.
\nRispetto alla gestione delle emergenze nazionali, la norma introduce lo stato di mobilitazione, che consente al sistema territoriale di mobilitare le sue risorse e chiedere il concorso delle risorse nazionali, anche prima della dichiarazione dello stato di emergenza.
\nIl Codice ribadisce inoltre il ruolo chiave della pianificazione e punta al superamento di una concezione “compilativa” di Piano in favore di una visione evoluta volta a rendere questo strumento pienamente operativo.
\nLa norma esplicita le tipologie di rischio di cui si occupa la protezione civile: sismico, vulcanico, da maremoto, idraulico, idrogeologico, da fenomeni meteorologicamente avversi, da deficit idrico, da incendi boschivi. Precisa inoltre i rischi su cui il Servizio Nazionale può essere chiamato a cooperare: chimico, nucleare, radiologico, tecnologico, industriale, da trasporti, ambientale, igienico-sanitario, da rientro incontrollato di satelliti e detriti spaziali.
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\nIl Capo Dipartimento della Protezione Civile convoca immediatamente il Comitato operativo, che si riunisce in seduta permanente fino al 28 agosto, quando è istituita a Rieti la Direzione di Comando e Controllo per coordinare le attività di gestione dell’emergenza.
\nIl 26 e il 30 ottobre nuovi terremoti interessano il Centro Italia, in particolare al confine tra Umbria e Marche. La scossa del 30 ottobre, di magnitudo 6.5, è la più forte in Italia degli ultimi trent’anni: il numero delle persone fuori casa e i danni crescono esponenzialmente, ma non si registrano vittime.
\nLe attività sui territori colpiti spaziano dall’assistenza alla popolazione alla verifica dei danni su abitazioni, patrimonio artistico-culturale ed edifici pubblici, dalla ricerca e predisposizione di soluzioni abitative alternative al sostegno alle attività zootecniche, dal monitoraggio per la realizzazione delle soluzioni abitative d’emergenza agli interventi per il ripristino e la messa in sicurezza della rete stradale.
\nNella seconda metà di gennaio 2017, mentre proseguono le attività legate all’emergenza terremoto, il sistema di protezione civile si trova a fronteggiare un’eccezionale ondata di maltempo su Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. Gli interventi sono numerosi e complessi: dal soccorso alle persone in frazioni isolate, al ripristino di viabilità, infrastrutture e servizi essenziali gravemente compromessi dalle nevicate.
\nIl sistema è già duramente messo alla prova quando, il 18 gennaio, quattro scosse di magnitudo superiore a 5.0 colpiscono nuovamente le zone del centro Italia e in particolare Lazio e Abruzzo. A poche ore dalle scosse una slavina travolge e distrugge l’Hotel Rigopiano, alle pendici del Gran Sasso, in provincia di Pescara. Le operazioni di ricerca e soccorso durano ininterrottamente otto giorni e otto notti, e consentono di mettere in salvo undici persone. Gli eventi di gennaio causano 34 vittime, di cui 29 nella tragedia di Rigopiano.
\nFoto: Attività di ricerca e soccorso ad Amatrice (Rieti) dopo il terremoto del 24 agosto 2016
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Le attività sui territori colpiti spaziano dall’assistenza alla popolazione alla verifica dei danni su abitazioni, patrimonio artistico-culturale ed edifici pubblici, dalla ricerca e predisposizione di soluzioni abitative alternative al sostegno alle attività zootecniche, dal monitoraggio per la realizzazione delle soluzioni abitative d’emergenza agli interventi per il ripristino e la messa in sicurezza della rete stradale.
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\nLa legge n. 100 del 2012 tocca temi chiave per tutto il sistema: dalla classificazione degli eventi calamitosi alle attività di protezione civile, dalla dichiarazione dello stato di emergenza al potere d’ordinanza. Accanto alle attività di previsione e prevenzione dei rischi e di soccorso delle popolazioni viene specificato il concetto di superamento dell’emergenza, che include ogni attività necessaria e indifferibile rivolta al “contrasto dell’emergenza” e alla “mitigazione del rischio” connessa agli eventi calamitosi.
\nLe attività di prevenzione vengono esplicitate e si parla nel dettaglio di allertamento, pianificazione d’emergenza, formazione, diffusione della conoscenza di protezione civile, informazione alla popolazione, applicazione della normativa tecnica ed esercitazioni. Il sistema di allerta nazionale per il rischio meteo-idrogeologico e idraulico viene inquadrato in maniera organica, richiamando i vari provvedimenti che negli anni hanno disciplinato le attività di allertamento ai fini di protezione civile.
\nLa legge n. 100 del 2012 ribadisce inoltre il ruolo del Sindaco come autorità comunale di protezione civile, precisandone i compiti nelle attività di soccorso e assistenza alla popolazione.
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\nImmediatamente dopo la scossa si riunisce l’unità di crisi del Dipartimento della Protezione Civile per organizzare, in coordinamento con le Regioni interessate, le attività di soccorso e assistenza alla popolazione. Alle 6.00 del 20 maggio si insedia il Comitato Operativo, che resta convocato in seduta permanente fino al 23 maggio.
\nIl Presidente del Consiglio, come previsto dalla Legge n. 286 del 27 dicembre 2002, dichiara l’eccezionale rischio di compromissione degli interessi primari e il 22 maggio è deliberato lo stato di emergenza per i territori delle Province di Ferrara, Modena, Mantova e Bologna. Lo stato di emergenza, della durata di 60 giorni, è dichiarato in base al Decreto-Legge n. 59 del 30 aprile 2012, convertito poi nella Legge n. 100 del 12 luglio 2012. Il coordinamento degli interventi è affidato al Capo Dipartimento.
\nAlle 9.00 del 29 maggio un nuovo terremoto di magnitudo 5.8 colpisce l’Emilia, la Lombardia e il Veneto, con epicentro tra Mirandola, Medolla e Cavezzo, in provincia di Modena, mettendo a dura prova la macchina dell’emergenza che a nove giorni dal primo evento era ormai a regime.
\nImmediata la riconvocazione da parte del Capo del Dipartimento del Comitato Operativo, che resta in seduta permanente fino al 2 giugno quando – per coordinare il soccorso e l’assistenza nelle Regioni colpite dai terremoti del 20 e del 29 maggio – è istituita a Bologna la Direzione di Comando e Controllo, di cui le strutture regionali dell’Emilia-Romagna sono parte integrante. Il 30 maggio, il Consiglio dei Ministri delibera l’estensione dello stato di emergenza alle Province di Reggio Emilia e Rovigo.
\nComplessivamente perdono la vita 28 persone. I danni sui territori interessano in particolare gli stabilimenti industriali, le chiese e i beni storico-culturali, mentre risultano in buona parte integri gli edifici ad uso abitativo. Per questo motivo, nella gestione emergenziale un’attenzione particolare è rivolta alla continuità economica e produttiva delle aree colpite.
\nFoto: Crolli nel centro di Concordia sulla Secchia (Modena) dopo la scossa del 20 maggio 2012
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\nLa sequenza sismica prosegue con moltissime repliche due delle quali, il 7 e il 9 aprile, superano nuovamente magnitudo 5 interessando un’area di oltre 30 chilometri lungo la valle del Fiume Aterno. Nell’arco di un mese dalla scossa principale, la rete sismometrica nazionale, gestita dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, registra e localizza circa 5mila scosse, di cui 150 superano magnitudo 3.
\nL’estensione e la gravità dei danni sono in parte determinate dalla magnitudo del terremoto e dalla presenza in alcuni casi di condizioni geologiche che hanno amplificato il moto del terreno. Ma a influire sono prevalentemente le caratteristiche del patrimonio abitativo, costituito in gran parte da edifici storici vulnerabili.
\nIn seguito al terremoto del 6 aprile, uno degli obiettivi è garantire alla popolazione colpita una sistemazione adeguata e tempestiva in attesa di riparare o ricostruire la propria casa. Questo obiettivo ha previsto diverse soluzioni per gli abitanti del “cratere” sismico: gli alloggi del Progetto CASE, i MAP-Moduli Abitativi Provvisori, gli affitti agevolati, le sistemazioni negli alberghi e nelle strutture messe a disposizione dallo Stato e la possibilità di accedere al CAS-Contributo di Autonoma Sistemazione.
\nFoto: Squadre impegnate in attività di ricerca e soccorso a Villa Sant'Angelo (L'Aquila) in seguito al terremoto del 6 aprile 2009 / Marcello Scopelliti
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\r\n\r\nIn seguito al terremoto del 6 aprile, uno degli obiettivi è garantire alla popolazione colpita una sistemazione adeguata e tempestiva in attesa di riparare o ricostruire la propria casa. Questo obiettivo ha previsto diverse soluzioni per gli abitanti del “cratere” sismico: gli alloggi del Progetto CASE, i MAP-Moduli Abitativi Provvisori, gli affitti agevolati, le sistemazioni negli alberghi e nelle strutture messe a disposizione dallo Stato e la possibilità di accedere al CAS-Contributo di Autonoma Sistemazione.
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\nIl Capo Dipartimento svolge una funzione di coordinamento operativo di tutti gli enti pubblici e privati. Inoltre – d’intesa con le Regioni e gli Enti Locali – promuove lo svolgimento delle esercitazioni, le attività di informazione alla popolazione e l’attività di formazione in materia di protezione civile. Viene inoltre istituito presso la Presidenza del Consiglio un Comitato paritetico Stato-Regioni-Enti Locali.
\nLa principale novità introdotta dal provvedimento riguarda i grandi eventi la cui dichiarazione, così come per lo stato di emergenza, comporta l’utilizzo del potere di ordinanza. Un ulteriore passaggio dal punto di vista normativo è rappresentato dalla Legge n. 152 del 2005, che estende il potere d’ordinanza anche agli eventi all’estero, sempre dopo dichiarazione dello stato di emergenza.
\nCon la Legge n. 27 del 24 marzo 2012, la gestione dei grandi eventi non rientrerà più nelle competenze della protezione civile.
\nFoto: Sri Lanka, scarico degli aiuti da un Canadair italiano dopo il maremoto del 26 dicembre 2004 nel Sud Est Asiatico / Luciano Del Castillo
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\r\n\r\nCon la Legge n. 27 del 24 marzo 2012, la gestione dei grandi eventi non rientrerà più nelle competenze della protezione civile.
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\nIl Decreto istituisce l'Agenzia di Protezione Civile, sottoposta alla vigilanza del Ministero dell’Interno. L'intero assetto del sistema di protezione civile viene quindi rivoluzionato: anziché il Presidente del Consiglio e il Dipartimento della Protezione Civile, al vertice del sistema vengono collocati il Ministro dell'Interno, con funzioni di indirizzo politico-amministrativo e di controllo, e l'Agenzia di Protezione Civile, con compiti tecnico-operativi e scientifici.
\nAll’Agenzia vengono trasferite le funzioni del Dipartimento della Protezione Civile e da essa dipende il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco. La creazione dell’Agenzia nasce anche dalla volontà di ricondurre l’attività della Presidenza del Consiglio alle tradizionali funzioni di impulso, indirizzo e coordinamento, eliminando le funzioni più prettamente operative.
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\r\n\r\nIl Decreto istituisce l'Agenzia di Protezione Civile, sottoposta alla vigilanza del Ministero dell’Interno. L'intero assetto del sistema di protezione civile viene quindi rivoluzionato: anziché il Presidente del Consiglio e il Dipartimento della Protezione Civile, al vertice del sistema vengono collocati il Ministro dell'Interno, con funzioni di indirizzo politico-amministrativo e di controllo, e l'Agenzia di Protezione Civile, con compiti tecnico-operativi e scientifici.
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\nAlle 17.30 del 5 maggio la prefettura di Salerno, cui spetta il coordinamento della protezione civile nella provincia, è concentrata su Bracigliano, Quindici e Siano dove la situazione sembra più grave e dove dalle prime colate i sindaci hanno già disposto l’evacuazione. A Sarno non scatta invece l’allarme per la popolazione e, intorno alle 18, ha inizio una delle tragedie più pesanti mai affrontate dal nostro Paese. Le forze dell’ordine fanno il possibile per aiutare la popolazione a evacuare le zone colpite. Intorno alle 20 la situazione precipita: una gigantesca onda travolge persone, case, automobili. Alle 23.45 Sarno è devastata da un’altra frana, che si abbatte sull’abitato alla velocità di 50-60 chilometri orari.
\nI soccorsi arrivano da tutta Italia. La ricerca dei dispersi si svolge con il massimo coinvolgimento di uomini e mezzi e a seguire le attività in prima persona è Franco Barberi , sottosegretario al Ministero dell’Interno con delega alla protezione civile. Per fronteggiare la situazione emergenziale sono costituiti diversi Centri operativi. Le attività di ricerca e soccorso si concludono l’8 maggio con il salvataggio di un ragazzo sepolto nel fango, l’ultimo dei sopravvissuti alla catastrofe.
\nLo stato di emergenza per Sarno viene dichiarato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 maggio 1998 e successivamente prorogato più volte. L’ordinanza n. 2787 del 1998 nomina commissario delegato il Presidente della Regione Campania, la cui struttura commissariale oltre ad attuare il piano degli interventi strutturali predispone nei comuni coinvolti un “Piano di emergenza interprovinciale-rischio colate di fango” attivato da un sistema di monitoraggio idro-pluviometrico che in fasi successive – presidio territoriale, allerta, preallarme e allarme – attiva le risorse di protezione civile.
\nL’evento di Sarno, dal punto di vista del monitoraggio e della sorveglianza degli eventi idrogeologici, ha determinato un decisivo cambiamento di rotta nell’approccio al rischio, fino ad allora caratterizzato prevalentemente da interventi strutturali e da attività di soccorso e di assistenza.
\nIl Decreto-Legge n. 180 del 1998, più noto come “Decreto Sarno”, successivamente convertito nella Legge n. 267 del 3 agosto 1998, ha determinato una decisiva accelerazione sia delle attività di perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico, sia del potenziamento delle reti di monitoraggio e sorveglianza.
\nPrima di questo evento la rete di monitoraggio della Campania contava su pochi pluviometri in telemisura, nessuno dei quali collocato nell’area di Sarno. Oggi i pluviometri in telemisura sono numerosi e forniscono dati in tempo reale sia al Centro Funzionale Regionale sia a quello Centrale presso il Dipartimento della Protezione Civile. È quindi la Legge Sarno ad avviare la costruzione della rete dei Centri Funzionali, sostenendo il potenziamento della rete di monitoraggio idro-meteo-pluviometrica nazionale e la costruzione della rete radar meteorologica nazionale.
\nFoto: Vigili del Fuoco al lavoro dopo la frana di Sarno del 5 maggio 1998 / Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco
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Il 5 maggio 1998 una pioggia incessante colpisce la provincia di Salerno. Dalle due del pomeriggio oltre 140 frane si abbattono sui comuni di Quindici, Bracigliano, Siano, San Felice a Cancello, Sarno e altri centri del salernitano e del napoletano, riversando oltre 2 milioni di metri cubi di materiale. A perdere la vita sono 160 persone, 137 delle quali solo a Sarno. Centinaia i feriti, migliaia le persone senza casa. In termini di vittime, Sarno è il più grave disastro idrogeologico che colpisce l’Italia negli ultimi 50 anni, dopo il Vajont nel 1963 e Stava nel 1985.
\r\n\r\nAlle 17.30 del 5 maggio la prefettura di Salerno, cui spetta il coordinamento della protezione civile nella provincia, è concentrata su Bracigliano, Quindici e Siano dove la situazione sembra più grave e dove dalle prime colate i sindaci hanno già disposto l’evacuazione. A Sarno non scatta invece l’allarme per la popolazione e, intorno alle 18, ha inizio una delle tragedie più pesanti mai affrontate dal nostro Paese. Le forze dell’ordine fanno il possibile per aiutare la popolazione a evacuare le zone colpite. Intorno alle 20 la situazione precipita: una gigantesca onda travolge persone, case, automobili. Alle 23.45 Sarno è devastata da un’altra frana, che si abbatte sull’abitato alla velocità di 50-60 chilometri orari.
\r\n\r\nI soccorsi arrivano da tutta Italia. La ricerca dei dispersi si svolge con il massimo coinvolgimento di uomini e mezzi e a seguire le attività in prima persona è Franco Barberi , sottosegretario al Ministero dell’Interno con delega alla protezione civile. Per fronteggiare la situazione emergenziale sono costituiti diversi Centri operativi. Le attività di ricerca e soccorso si concludono l’8 maggio con il salvataggio di un ragazzo sepolto nel fango, l’ultimo dei sopravvissuti alla catastrofe.
\r\n\r\nLo stato di emergenza per Sarno viene dichiarato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 maggio 1998 e successivamente prorogato più volte. L’ordinanza n. 2787 del 1998 nomina commissario delegato il Presidente della Regione Campania, la cui struttura commissariale oltre ad attuare il piano degli interventi strutturali predispone nei comuni coinvolti un “Piano di emergenza interprovinciale-rischio colate di fango” attivato da un sistema di monitoraggio idro-pluviometrico che in fasi successive – presidio territoriale, allerta, preallarme e allarme – attiva le risorse di protezione civile.
\r\n\r\nL’evento di Sarno, dal punto di vista del monitoraggio e della sorveglianza degli eventi idrogeologici, ha determinato un decisivo cambiamento di rotta nell’approccio al rischio, fino ad allora caratterizzato prevalentemente da interventi strutturali e da attività di soccorso e di assistenza.
\r\n\r\nIl Decreto-Legge n. 180 del 1998, più noto come “Decreto Sarno”, successivamente convertito nella Legge n. 267 del 3 agosto 1998, ha determinato una decisiva accelerazione sia delle attività di perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico, sia del potenziamento delle reti di monitoraggio e sorveglianza.
\r\n\r\nPrima di questo evento la rete di monitoraggio della Campania contava su pochi pluviometri in telemisura, nessuno dei quali collocato nell’area di Sarno. Oggi i pluviometri in telemisura sono numerosi e forniscono dati in tempo reale sia al Centro Funzionale Regionale sia a quello Centrale presso il Dipartimento della Protezione Civile. È quindi la Legge Sarno ad avviare la costruzione della rete dei Centri Funzionali, sostenendo il potenziamento della rete di monitoraggio idro-meteo-pluviometrica nazionale e la costruzione della rete radar meteorologica nazionale.
\r\n\r\nFoto: Vigili del Fuoco al lavoro dopo la frana di Sarno del 5 maggio 1998 / Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco
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31 marzo 1998. Il Decreto Legislativo n. 112 ridetermina l'assetto della protezione civile, che viene considerata materia a competenza mista: alle Regioni e agli Enti locali vengono affidate tutte le funzioni ad esclusione dei \"compiti di rilievo nazionale del Sistema di Protezione Civile”.
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\nIn questo contesto viene ridefinita anche la materia della protezione civile. Il Decreto Legislativo n. 112 del 1998 – attuativo della Legge Bassanini – ridetermina l'assetto della protezione civile, da un lato trasferendo importanti competenze alle autonomie locali, anche di tipo operativo, e dall'altro introducendo una profonda ristrutturazione anche per le residue competenze statali. Il quadro normativo di riferimento resta sempre la Legge n. 225 del 1992.
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\nComplessivamente, le vittime sono 11, i Comuni interessati dall’emergenza 48. Danni significativi si registrano in Umbria ad Assisi, Gubbio, Foligno, Norcia, Valfabbrica, Gualdo Tadino, Nocera Umbra e Sellano e, nelle Marche, a Serravalle del Chienti, Camerino, Fiordimonte e Castelsantangelo sul Nera.
\nI danni e le perdite al patrimonio storico-artistico delle regioni coinvolte sono enormi: dalla cima del campanile della cattedrale di Foligno alla storica torre di Nocera Umbra, dai musei locali ai teatri storici. Nell’immaginario collettivo questa emergenza è legata al crollo della volta affrescata della Basilica superiore del complesso francescano di Assisi, meta di turisti e pellegrini da ogni parte del mondo.
\nFoto: Squadre di Vigili del Fuoco impegnate nella messa in sicurezza di beni culturali / Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco
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\nLa protezione civile diventa quindi un sistema coordinato di competenze al quale concorrono in modo sussidiario le amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri Enti Locali, gli Enti Pubblici, la Comunità scientifica, il volontariato, gli ordini e i collegi professionali e ogni altra istituzione sul territorio nazionale. La Legge n. 225 rappresenta un momento di passaggio tra la fase accentrata e decentrata: le competenze operative rimangono in capo all’amministrazione centrale e periferica dello Stato, ma per la prima volta aumenta notevolmente il peso delle Regioni, delle Province e dei Comuni, soprattutto per quanto riguarda la previsione e la prevenzione.
\nIl volontariato è inserito tra le Componenti e le Strutture operative del Servizio Nazionale quale strumento per assicurare ampia partecipazione di cittadini e organizzazioni di volontariato di protezione civile alle attività di previsione, prevenzione e soccorso. Il Dipartimento della Protezione Civile è confermato nel suo ruolo di coordinamento e indirizzo che esercita anche attraverso fondamentali “spazi di confronto e condivisione delle regole”: gli organi collegiali.
\nFoto: Immagine di un Comitato Operativo della Protezione Civile degli anni Novanta
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\nIl viavai di mezzi e soccorritori è ininterrotto. All’inizio si scava a mani nude, senza l’aiuto di ruspe, e si va avanti per trenta lunghissime ore. All’alba di venerdì 1° novembre il lavoro dei soccorritori restituisce alla vita Angelo, ultimo dei superstiti, ma il bilancio delle perdite è drammatico: 27 bambini e una maestra restano uccisi. Tutta la prima elementare – la classe dei nati nel 1996 di San Giuliano – non esiste più.
\nIl 3 novembre 2002, alla presenza del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi si svolgono i funerali delle vittime. Durante la cerimonia la madre di uno dei bimbi uccisi dal crollo lancia un appello perché le scuole italiane siano più sicure.
\nDopo la tragedia di San Giuliano – che provoca complessivamente 30 vittime, circa 100 feriti e quasi 14mila senzatetto – l’azione dello Stato si concentra su una nuova classificazione sismica. Il territorio nazionale viene suddiviso in quattro zone a pericolosità decrescente, eliminando di fatto quelle non classificate. Nessuna area del nostro Paese può essere considerata immune dal rischio sismico.
\nFoto: Attività di ricerca e soccorso a San Giuliano di Puglia in seguito al terremoto del 31 ottobre 2002 / Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco
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\nIl Dipartimento predispone l’invio di esperti e tecnici sull’isola e istituisce sull’isola il Centro Operativo Avanzato, organizzato e attrezzato per dare supporto alle funzioni scientifiche e operative, e capace di essere il nucleo delle attività di monitoraggio e di valutazione legate all’emergenza.
\nNell’ambito di questa emergenza verrà consolidato e sviluppato un elaborato sistema di monitoraggio dello stato di attività del vulcano in grado di rilevare i parametri fisico-chimici indicativi dello stato del sistema vulcanico e le loro eventuali variazioni.
\nFoto: Attività stromboliana a fine dicembre 2002
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\nLo stato di emergenza è successivamente prorogato con i seguenti provvedimenti: decreto-legge del 29 luglio 2020 (fino al 15 ottobre 2020); delibera del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 ottobre 2020 (fino al 31 gennaio 2021); decreto-legge del 14 gennaio 2021 (fino al 30 aprile 2021); decreto-legge del 22 aprile 2021 (fino al 31 luglio 2021); decreto-legge del 23 luglio 2021 n. 105 (fino al 31 gennaio 2021).
\nCon il Consiglio dei Ministri del 15 dicembre 2021 la proroga è fissata al 31 marzo 2022 e con Decreto Legge n. 24 del 24 marzo 2022 si dispone il termine dello stato di emergenza.
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\r\n\r\nLo stato di emergenza è successivamente prorogato con i seguenti provvedimenti: decreto-legge del 29 luglio 2020 (fino al 15 ottobre 2020); delibera del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 ottobre 2020 (fino al 31 gennaio 2021); decreto-legge del 14 gennaio 2021 (fino al 30 aprile 2021); decreto-legge del 22 aprile 2021 (fino al 31 luglio 2021); decreto-legge del 23 luglio 2021 n. 105 (fino al 31 gennaio 2021).
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13 gennaio 2012. La nave da crociera Costa Concordia, con oltre 4mila persone a bordo, comincia a imbarcare acqua a causa di un urto contro lo scoglio delle Scole e si inclina in prossimità dell'isola del Giglio
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\nIl 20 gennaio 2012, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, è dichiarato lo stato di emergenza per il naufragio e il Consiglio dei Ministri nomina il Capo Dipartimento della Protezione Civile Commissario delegato. Lo scenario emergenziale – raro, ampio e complesso – richiede l’attivazione di competenze molto diverse tra loro e una profonda interazione tra soggetti pubblici e privati. A supporto del Commissario sono istituiti un Comitato con funzioni consultive e un Comitato tecnico-scientifico. Grande attenzione viene posta, sin dalle primissime fasi, ai possibili rischi ambientali legati alla fuoriuscita di carburante dalla nave.
\nIl progetto di rimozione del relitto è un’operazione tecnico-ingegneristica unica nel suo genere, che vede impegnati per oltre due anni 500 tecnici e 30 mezzi navali, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Il progetto si conclude il 27 luglio 2014 con l'arrivo della nave nel porto di Genova Prà-Voltri per le successive operazioni di smantellamento.
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4 novembre 2011. In prossimità del Monte di Portofino, si innesca un sistema temporalesco che a fine mattinata raggiunge Genova. Le precipitazioni si concentrano soprattutto in Valle Sturla, Val Bisagno e nel versante est della Val Polcevera.
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\nFoto: Squadre in azione a Genova in seguito all'alluvione del 4 novembre 2011 / Comune di Genova
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\n"},"title":"L'alluvione del Piemonte","field_titolo_esteso":"L'alluvione del Piemonte","field_data_evento":"1994-11-05T18:25:56+01:00","relationships":{"field_link_evento_timeline":{"field_link":null,"relationships":{"field_link_interno":{"__typename":"node__page","title":"L'alluvione del Piemonte","field_titolo_esteso":"L'alluvione del Piemonte","body":{"processed":"Nella notte tra il 5 e il 6 novembre 1994 una terribile alluvione colpisce le province di Cuneo, Asti e Alessandria, sul Tanaro, e la zona di Vercelli sul Po. Le vaste esondazioni e le oltre un migliaio di frane causano 68 vittime, decine di feriti e circa 5500 persone evacuate.
\nIl quadro dei processi geo-idrologici che si verificano in questo evento lo caratterizzano come uno dei più gravi mai accaduti in Piemonte. I danni interessano quasi cinquecento comuni e numerose infrastrutture, soprattutto nella valle del Tanaro, ad Alba, Asti e Alessandria. Nel Piemonte meridionale alcuni centri abitati rimangono isolati per giorni.
\nSi tratta della prima grande emergenza che coinvolge il Servizio Nazionale, istituito due anni prima, e che pone al centro la necessità di potenziare le attività di previsione e prevenzione dei rischi. Dieci anni dopo il sistema di protezione civile potrà contare sulla rete dei Centri Funzionali, con compiti di previsione, monitoraggio e sorveglianza dei fenomeni meteorologici e valutazione degli effetti sul territorio.
\nFoto: Squadre all'opera in seguito all'alluvione in Piemonte del novembre 1994 / Arma dei Carabinieri
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\r\n\r\nSi tratta della prima grande emergenza che coinvolge il Servizio Nazionale, istituito due anni prima, e che pone al centro la necessità di potenziare le attività di previsione e prevenzione dei rischi. Dieci anni dopo il sistema di protezione civile potrà contare sulla rete dei Centri Funzionali, con compiti di previsione, monitoraggio e sorveglianza dei fenomeni meteorologici e valutazione degli effetti sul territorio.
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